
Packaging Valley: da modello di distretto local a transnazionale
I prodotti, tutti, hanno bisogno di imballaggio da che mondo è mondo.
Un concentrato di tecnologia da un lato, creatività artigianale e manualità dall’altro, rendono la packaging valley emiliana terreno irreplicabile per il suo know how, la sua cultura le sue tradizioni.
In nessun altro luogo del pianeta il tema del packaging industriale è trattato così scientificamente, ogni problematica produttiva risolta così intelligentemente, le nuove esigenze dei clienti affrontate così arditamente.
Un posto, la packaging valley, dove domanda ed offerta trovano un equilibrio paretiano perfetto è il caso di dire.
Un settore che non ha mai avuto tentennamenti dato che la popolazione mondiale cresce esponenzialmente e con essa i consumi.
Per fare l’imballaggio ci vuole la macchina, per fare la macchina ci vuole il know how, per fare il know how ci vuole la mente e che menti!
Macchine automatiche sempre più complesse in grado di afferrare letteralmente il prodotto in una manciata di micro secondo ed impacchettarlo a dovere preservandone il suo contenuto, pronto per la distribuzione.
Una roba che detta così sembrerebbe semplice da fare ma che in realtà non lo è affatto per la variabile di prodotto che è in gioco.
Realizzare macchine automatiche per il packaging è un processo complesso e costoso, così come la loro manutenzione.
Si sa quanto sia importante sfruttare il prima possibile cospicue economie di scala per abbattere i costi fissi.
Ciascuna macchina è costituita da ingranaggi meccanici alcuni standardizzati, altri estremamente sofisticati, lamiere, valvole, compressori, iniettori, sensori, schede elettroniche e microchip, schermi lcd, tutto governato da applicativi, softwares, oltre a necessitare di personale altamente qualificato per il suo corretta installazione, set-up, e funzionamento.
Avete idea di quante competenze servano per assemblare una macchina automatica e farla funzionare per il suo potenziale durante il suo intero ciclo di vita?
E di quale e quanta tecnologia serva, quanta energia assorba, ad esempio, per confezionare una banale bustina di thé?
Grazie all’evoluzione tecnologica le macchine automatiche, robot a tutti gli effetti, sono sempre più efficienti, veloci e flessibili in termini di capacità produttiva.
Per dare l’idea, per fare una bustina di thé in continuo, sempre per quel discorso di economie di scala, ci sono macchine automatiche grandi quanto vagoni ferroviari che vengono trasportate dall’Emilia e piazzate in giro per il mondo.
E’ la sintesi di un lungo, interminabile processo che a valle coagula il lavoro di tornitori meccanici, fresatori, ingegneri, programmatori, operatori, installatori, manutentori, di chi realizza o rettifica utensili, di chi lucida stampi.
Alla stessa stregua di un diamante fatto di una miriade di sfavillanti sfaccettature, così è il distretto della packaging valley emiliana, un coacervo di specializzazioni di stampo prettamente artigianale concentrate su di un territorio di poche decine di chilometri di raggio che, come una supernova, pulsa di luce propria. Di fatto ogni stella del distretto riflette la luce delle sue costellazioni, amplificandola, così da brillare nella sua galassia.
Un’incredibile serie di storiche, ed ahimè, di anonime attività conto terziste, le costellazioni, che hanno mantenuto un modello organizzativo artigianale, poco propenso al marketing, rappresentano un formidabile volano per la nascita di nuove idee.
Sembrerebbe un paradiso terrestre quello della packaging valley emiliana.
In effetti lo è. Un luogo magico, dove il lavoro non ha mai frenato visto che i consumi nel mondo continuano ad aumentare.
In questa atmosfera idilliaca ha senso criticare l’assenza di autonomia delle costellazioni o l’eccessiva sottomissione alla casa madre?
In un mondo che ha visto funzionare “perfettamente” ed affermarsi questo modello economico di distretto local basato su logiche medioevali e per decenni, non avrebbe molto senso, anche se del futuro, come si dice, non c’è mai certezza.
Che le stars del packaging all’interno del loro sistema locale, non abbiano alcun interesse a mostrare e valorizzare i loro cortigiani agli occhi del mondo è un dato di fatto.
Spesso costoro sono costretti, per contratto, a non figurare mai in pubblico, a defilarsi dalla scena.
L’assenza di ambizione, il basso potere contrattuale, la propensione al rischio di impresa, qui praticamente azzerato, sono gli appunti da opporre alle costellazioni delle imprese distrettuali local che non continuerei più a chiamare imprese.
Essere imprenditore vuol dire accollarsi il rischio di impresa: qui è scomparsa del tutto la componente rischio, magari presente un paio di generazioni fa.
Il fatto di non utilizzare mai mezzi di marketing come un proprio sito internet, consolidare e dare il giusto valore al proprio brand, mettere su una strategia di marketing per farsi vedere e/o trovare da nuovi potenziali clienti transnazionali, sono fattori che escludono le costellazioni del distretto dalla possibilità di innescare nuove spinte propulsive, sviluppare nuovi legami, incrementare i loro fatturati, amplificare quel potere contrattuale oggi compresso.
Grazie alle potenzialità del marketing si andrebbe verso una nuova dimensione distrettuale, dove le forze in gioco si riequilibrerebbero, livellandosi, a vantaggio, stavolta, della parte “costellazione” e non delle “star” come di prassi, un nuovo modello organizzativo che travalicherebbe la classica limitante concezione local: quella di distretto transnazionale.
Con questo non sto dicendo che nel distretto local non si viva bene, anzi, ma che la costellazione, vero valore aggiunto dell’intero sistema, potrebbe vivere meglio solo osando di più.
Ne gioverebbe l’intero sistema economico perché molte costellazioni avrebbero bisogno di reperire nuove risorse sul territorio per espandersi.
A conclusione domando: avete mai navigato, semmai l’avete mai trovato, su di un sito internet di una azienda conto terzista della packaging valley emiliana?
Hai Bisogno di supporto per la tua Azienda?