
Smart working, quando il lavoro non nobilita l’uomo…
Di smart working si parlava già negli anni 90′ con l’avvento delle prime dorsali internet planetarie. Epoca in cui i presupposti erano si nobili…
Per cui niente di nuovo sotto il sole.
Che le aziende di oggi, grazie al covid19, hanno fatto di necessità virtù è chiaro. Quale opportunità migliore dell’arrivo di un virus, liberatorio, per fare le pulizie d’azienda, semplificare processi, snellire l’organizzazione, mandare a casa schiere di lavoratori, questioni su cui non si era mai messo mano prima?
Siete così certi che uno smart worker sia così privilegiato rispetto ad un normodotato?
A mio avviso no e vi spiego qui le ragioni.
Smart company e no smart working sarebbe l’accezione più corretta.
Qui non è il lavoro che è intelligente ma l’azienda che lo adotta: riducendo i costi fissi e variabili amplifica la sua redditività.
Al contrario, per chi è relegato a lavorare da casa davanti ad un terminale, di così smart non vedo proprio nulla, anzi solo solitudine, costernazione, alienazione.
Ma esaminiamo più in dettaglio gli svantaggi dello pseudo smart worker:
La contrazione del salario.
Nonostante la smart company ora fatturi di più grazie ad un risparmio netto sui costi, lo smart worker viaggia a stipendio ridotto: i buoni pasto, ad esempio, che prima percepiva, ora sono svaniti. Gli scatti di stipendio sono ora più lenti perché il lavoratore è in una situazione ritenuta già di privilegio. Le ore in smart working sono di norma più di quelle fatte in azienda una volta, e questo a parità sempre di salario mensile. Dunque altra perdita secca.
L’azienda preferisce congelare i rapporti lavorativi purché tutti se ne stiano buoni e quieti a casa loro. Fa comodo avere una componente di costo fissa, più controllabile. Di conseguenza con i livelli salariali fermi anche gli avanzamenti di carriera sono praticamente banditi grazie all’avvento delle smart company.
Minor efficienza del lavoro.
Lavorare da casa non significa lavorare meno, ma il doppio, il triplo rispetto ad un normale orario di lavoro in azienda. Primo perché lo smart worker sentendosi in debito col suo datore di lavoro (crede di essere un privilegiato) tende ad aumentare la produttività per mostrare il suo reale valore. Secondo, stando H24 a casa, la dimensione temporale del suo lavoro si perde sconfinando in quella extra lavorativa. Così, se in azienda quel lavoratore ci metteva un’ora per terminare un compito, da casa e senza alcun controllo per la stessa identica mansione ce ne mette due, tre, a volte quattro… La verità è che si perde molto più tempo stando a casa a lavorare perché si è perennemente comodi ed assuefatti alla noia. Con quale effetto? Che a fine giornata il vostro tempo libero viene gettato letteralmente alle ortiche.
Controllore e controllato, nessuno vince.
E’ un eterno braccio di ferro tra controllore e controllato che non porta a nessuna crescita qualitativa della mansione. Una sorta di gioco tra guardia e ladri in cui si disperdono solo energie. Di solito la regola è che più si controlla e meno risultati si ottengono ma è un discorso relativo. Dipende dalle persone con cui si ha a che fare. Il fatto di predisporre controlli da un lato e dall’altro seguirli costa ad ambo le parti.
Il learning by doing? cos’è costui?
Il fatto di lavorare da casa deteriora anche la qualità del lavoro, a meno che non siate in una catena di montaggio, chiamati a replicare perennemente le medesime situazioni. Siete soli, non avete nessuno con cui raffrontarvi per risolvere qualsiasi tipologia di imprevisto, non avete nemmeno modo di imparare guardando un collega. Un lavoratore messo nella condizione di non imparare è destinato ad autodistruggersi.
E poi ci sono gli effetti psicologici creati dalla condizione di “smart worker“, ancor più deleteri …
La solitudine ed il senso di alienazione.
La prima cosa che mi viene in mente è la solitudine del lavoratore domestico. Vuoi fare una pausa caffè per scambiare due battute? Con chi la fai se sei uno smart worker? Con tuo figlio o la tua compagna? Le situazioni di solitudine davanti ad una tastiera sono infinite e spesso crudeli. Non portano a nessuna evoluzione. In più l’alienazione da qualsiasi gruppo sociale, per un essere umano è un fattore destabilizzante che a lungo andare mette a repentaglio la propria salute psico fisica ed a dubitare delle proprie capacità.
La casa, la vostra nuova prigione.
Che sia per il covid o non covid, se io dovessi anche lavorare da casa H24 perché la mia azienda me lo impone, impazzirei. Non è affatto bello alzarsi dal letto, fare colazione ed aprire il notebook senza neanche cambiar ambiente tutti i santi giorni per poter lavorare. Non mi chiamo Silvio Pellico…
Mettete a rischio il rapporto coi vostri cari.
Se non uscite di casa, se non dopo le ore 18, perché dovete eseguire le mansioni lavorative dal vostro computer magari stando a gomito coi vostri cari, non tutti sono single ed hanno una casa di 90 mq su cui contare, siate consapevoli del fatto che alla prima problematica che avrete, farete fatica a non riversarla su di loro come foste un fiume in piena. Avete idea di quanti rapporti di coppia sono saltati a causa del lockdown forzato da pandemia? Immaginate il tutto amplificato dalla componente smart working…
Probabilmente ci sono altri fattori negativi di questa paradossale situazione di asocialità perseverante che non nobilitano affatto il lavoro.
Fattori che se sommati, tendono ad azzerarne il valore ed il ruolo.
Se ve ne vengono altri in mente, indicatemeli commentando a seguire questo articolo.
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